30 ottobre 2010

Parte il Progetto Orto

E' partito il Progetto Orto Biodinamico ad Artena.
Con la collaborazione di Roberto, stiamo iniziando la conversione di un vecchio orto in disuso da 30 anni in biodinamico.
Questa foto fa vedere da dove siamo partiti, era stata scattata il 31 agosto, la terra è stata pulita da un trattore circa un mese prima, quindi è secca e invasa da erbe infestanti, ortica, cicuta, un tipo di galium, graminacee, ecc.
Abbiamo scelto una zona di circa 30 mq e abbiamo zappato a 20/30 cm per rompere la terra, che con il tempo si è compattata. Abbiamo intenzione di piantare un bel sovescio misto per arricchire la terra di azoto e creare uno strato humico che possa ospitare il nostro orto.

"La nostra terra è la nostra Madre, e costruire un buon humus aiuta a crescere piante sane", Carlo Noro


Il nostro sovescio viene piantato ad ottobre, in modo che le piogge possano farlo crescere bene. E' un miscuglio di favino 30%, veccia 10%, trifoglio 10%, avena 30%, facelia 15% e senape 5%.
Lanciamo i semi e li ricopriamo leggermente di terra. Poi diamo il cornoletame 500, opportunamente dinamizzato, in modo che dia la spinta ai nostri semi per addentrarsi bene. Il 500 è il primo preparato essenziale nella biodinamica.
In questa foto abbiamo appena piantato il sovescio.
Ci rivediamo a febbraio.

04 settembre 2010

Sciroppo di Prungoncini

Già 2 settimane fa avevo fatto 7 kg di marmellata di prungoncini, come li chiamano qui ad Artena. Dato che non uso pectina, ma preferisco affidarmi a quella naturale della frutta, con quel che era avanzato di troppo liquido dalla marmellata avevo filtrato in bottiglia un magnifico sciroppo rosso prugna, che è stato un ottimo antidoto contro gli ultimi caldi di agosto.
Ieri siamo andati per fichi, ma uno dei rami dell'albero di prugne s'era spezzato dal peso. Non ho potuto fare a meno di raccogliere circa 5 kg di prugnette per rifare solo lo sciroppo.

Ho lavato e disossato circa 4,5/5 kg di prungoncini
L'ho messi sul fuoco e schiacciati man mano con uno schiacciapatate.
Si spenge quindi il fuoco e quando s'è un pochino raffreddato si passa al passaverdure. Quindi si pesa e si rimette sul fuoco lento con lo zucchero.
A 4,5 kg di succo ho aggiunto 1,225 kg di zucchero.
Poi si lascia andare un pochino per far sciogliere bene lo zucchero e far perdere un pochino di acqua. Quindi preparare le bottiglie sterilizzate ed imbottigliare.

25 agosto 2010

Dolcificanti traditori

Siamo in pieno agosto, dopo mesi di dieta per raggiungere la linea giusta da esibire in bikini, si parte per le vacanze.

Nelle localita’ marine o montane, italiane o straniere, ci lasciamo tutti andare alla delizia di piatti nuovi ed accattivanti, frutti di mare, specialita’ esotiche, prelibatezze stravaganti che siano, siamo poi pedinati da qualche senso di colpa in piu’.

E allora cerchiamo di rimediare, pensando di alleggerirci la vita, sostituendo allo zucchero dei dolcificanti meno calorici, che all’apparenza dicono di farci dimagrire.

Simili alla margarina, queste sostanze, sono create in laboratorio ed immesse sul mercato da multinazionali interessate a vendere a tutti i costi oscurando ai consumatori i pericoli nascosti dal consumo continuo di tali sostanze.

La prima e piu’ pericolosa e’ l’ASPARTAME, ingrediente principale dei dolcificanti dietetici, nelle caramelle e gomme senza zucchero, nelle bevande senza zucchero, e nelle vitamine e integratori farmaceutici.

Da tempo considerata pericolosa, a causa delle convulsioni e dei tumori al cervello che provoca negli animali da laboratorio, venne approvata dalla FDA (Food and Drug Administration), grazie alle pressioni della Monsanto durante la presidenza di Reagan.

L’Aspartame causa danni lenti e silenziosi in tutte quelle persone che non sono cosi’ sfortunate da non avere reazioni immediate e che quindi non hanno un motivo per evitarli.

Il motivo della sua grande tossicita’ e’ il metanolo (alcool metilico) che contiene almeno al 10% e che, superando la temperatura di 30°C (cosa che accade nel nostro corpo), si trasforma in acido formico ed in formaldeide, una neurotossina mortale, un agente cancerogeno ben conosciuto che causa dei danni alla retina, interferisce con la riproduzione del DNA e causa difetti di nascita.

I composti dell’Aspartame infatti vanno dritti al cervello, causando forti emicranie, confusione mentale, convulsioni e problemi di equilibrio, ma anche difficolta’ respiratorie, bruciore agli occhi, tosse cronica, affaticamento cronico, depressione, diarrea, capogiri, orticaria, irritabilita’, perdita della memoria, tachicardia, aumento del peso, ecc..

Insomma sembrano abbastanza controindicazione da terrorizzare chiunque!

Il secondo prodotto dolcificante a cui fare molta attenzione e’ il FRUTTOSIO, non quello che assumiamo naturalmente mangiando la frutta, ma quello sintetizzato chimicamente dal mais. E’ infati emerso recentemente, dalle ricerche di scienziati nell’Universita’ della California, che il Fruttosio derivante dal mais (HFCS- High Fructose Corn Syrup) contribuisce alla crescita di cellule cancerogene del pancreas. Queste infati inglobavano il fruttosio, lo metabolizzavano e lo sfrutavano per moltiplicarsi.

Il tumore del pancreas e’ uno dei cancri piu’ pericolosi per l’uomo ma, nonostante l’esperimento fosse limitato alle cellule del cancro del pancreas, non si poteva pensare che i risultati non potessero essere estesi anche ad altri tipi di cancro.

Tra il 1970 e il 1990 negli Stati Uniti infatti il consumo di Fruttosio e’ incrementato del 1000 percento. Data la sua grande dolcezza e basso costo rispetto ad altri dolcificanti viene usato sempre di piu’ dalle societa’ alimentari, in prodotti come pane, salse o bevande.

Vale la pena chiedersi se non sia meglio l’odiato zucchero semplice, anche se dannoso non tanto quanto questi due! Ma se vogliamo proprio essere sani, riprendiamo a dolcificare col miele, che inoltre e’ un grande nutriente.


23 giugno 2010

Appello del ONU: stop al consumo di carne e derivati per salvare il mondo dalla fame.




E’ passato solo qualche giorno da quando le Nazioni Unite hanno lanciato un allarme.
Infatti nel rapporto del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP United Nations Environment Programme) è emerso che mentre la popolazione cresce, e si stima che arriverà a 9,1 miliardi di persone per il 2050, il fabbisogno alimentare del pianeta e in particolare le diete occidentali, ricche di carne e derivati, sono completamente insostenibili. Nel rapporto viene dichiarato come un movimento globale verso una dieta “vegan” sia necessario per salvare il mondo dalla fame, dalla scarsità di carburanti e dall’aggravamento dell’impatto sul cambiamento climatico.
Perché, a differenza dei carburanti fossili, per cui si è trovata e si continua a ricercare alternative, per l’uomo il discorso è univoco, le persone DEVONO mangiare.
Il Professore Edgar Hertwich, promotore della commissione sostiene: “I prodotti animali causano più danni della produzione di materiali edili come sabbia o cemento, plastica o metalli. Le biomasse e i foraggi fanno danni tali al bruciare combustibile”.
Ernst von Weizsaecker, scienziato ambientale che ha cooperato alla commissione afferma: “La recente crescita porta ad un maggiore consumo di carne e derivati, gli allevamenti consumano ora gran parte delle colture del mondo, nonché di acqua fresca , fertilizzanti e pesticidi”.
La commissione si è anche trovata d’accordo sul citare le seguenti pressioni sull’ambiente come priorità per i governi del mondo: cambiamento climatico e dell’habitat, spreco di azoto e fosforo nei fertilizzanti, sfruttamento eccessivo dei mari, delle foreste e di altre risorse, problema dell’acqua non potabile, sanità, esposizione a metalli pesanti quali il piombo, inquinamento dell’aria urbana ed esposizione alle polveri sottili (PM Particulate matter).
L’allevamento, e di conseguenza l’agricoltura per esso, usa il 70% delle risorse di acqua del mondo, il 38% della terra ed è responsabile del 19% delle emissioni di gas serra.
Questi ultimi dati dovrebbero lasciarci riflettere mol, e se ognuno facesse un piccolo sforzo a tagliare i propri consumi di carne e derivati potremmo contribuire molto.

fonti: http://www.guardian.co.uk/environment/2010/jun/02/un-report-meat-free-diet

20 giugno 2010

Abbiamo davvero bisogno di tanto tonno?

Nonostante il 2010 sia stato eletto come anno della biodiversità, a marzo in occasione della 15° Conferenza delle Parti della Convenzione internazionale sul Commercio internazionale di specie a rischio (CITES COP 15) dei 129 delegati governativi votanti a Doha, 72 hanno votato contro la proposta di bando commerciale, a livello internazionale, del tonno detto “pinna blu”, a rischio di estinzione., 43 a favore e 14 si sono astenuti.

Tutto sommato l’Italia ha comunque bloccato da quest’anno la pesca con reti di circuizione dei tonni nei mari italiani, garantendo dei sussidi che convincessero le grandi barche a stare in porto, circa 5milioni di euro oltre alla cassa integrazione dovrebbero andare ai 49 pescherecci italiani, molti dei quali verranno demoliti.

Permettendo solo ai piccoli pescatori detti artigianali, che cacciano i tonni con i palangari, un sistema di cavi e lenze armate ad ami, di uscire in mare dato che hanno quote di pesca ben inferiori ai pescherecci formato industriale (433 tonnellate contro 3.555 nel 2007).

Il tutto, nel nome della salvaguardia del pesce. In verità, la questione dell’estinzione è dibattuta. A sentire i pescatori, è una balla. «Non è vero che non c’è più tonno nel Mediterraneo. Si è ripopolato, in questi ultimi anni. Le quote sono stabilite utilizzando il principio precauzionale, quanti sono davvero non lo sa nessuno». Gli ambientalisti la pensano diversamente. E anzi, puntano l’indice contro la pesca illegale, contro gli sforamenti delle quote, contro la pratica della «stabulazione», gabbie che consentono d’ingrassare il pesce catturato e di rivenderlo con l’inghippo della post-produzione, che consente di raggirare le regole internazionali.


Può darsi che alcuni perdano il lavoro, altri i soldi, ma tutti potremmo perdere un bene comune che fa parte dei nostri mari, solo per pura ignoranza ed esigenza di mercato. Infatti entro il 2012, se non si correrà ai ripari, questa specie (come anche altre) potrebbe scomparire dai nostri mari, considerato che a seconda delle stime e' stato già perso tra l'80 e il 95% dello stock.



Dopo queste informazioni viene da chiedersi cosa ne facciamo di tutto questo tonno? Dal Mediterraneo la prima scelta va dritto al Giappone, il resto nei ristornati in giro per l’Italia, ma gli scarti e la gran parte del tonno pescato nei mari ed oceani va a finire in scatola, uccidendo altre specie protette come balene, tartarughe, mante, squali bianchi, e un sacco di altre specie che, riproducendosi in maniera estremamente lenta, non sono in grado di reggere questa pressione di pesca.


Rimane da chiedersi se davvero abbiamo bisogno di tutto questo tonno nella nostra vita?

Varrebbe la pena rinunciare a comprare il tonno in scatola per un paio d’anni per godere invece una o due volte l’anno di un bella tagliata di tonno scottato?

Il consumo di tonno in generale non fa bene quanto si pensa alla salute, tra i pesci non è il più ricco di omega-3, uno degli acidi grassi così essenziali al nostro organismo. Il salmone, lo sgombro, l’arringa, le acciughe e le sardine sono più ricche di omega-3, e tralasciando il salmone forse unico ad essere ancora troppo commercializzato, i rimanenti sono più sostenibili ai danni del mare.

Oltre a questo c’è il rischio che mangiando troppa carne di pesce si accumulino metalli pesanti nel nostro corpo, quali mercurio, nickel, cadmio e arsenico, oltre anche a vari agenti contaminanti come il furano, diossine, PCB e altre sostanze cancerogene.


Ma è indispensabile sapere che l’omega-3 non si trova solo nei pesci, anche nelle carni di animali allevati all’aperto che mangiano erba, nel loro latte e nelle loro uova, infatti un pezzo di formaggio di derivazione biologica della grandezza di una scatoletta di fiammiferi ci da l’88% del fabbisogno quotidiano di omega-3. Inoltre si trova nei semi in generale, nelle noci, nelle nocciole, e in particolare nei semi di lino, il cui olio è il più ricco e benefico per il nostro corpo.


Allora cos’è che ci fa consumare tanto tonno?

Sarà la cultura, l’abitudine, la praticità? Come per ogni problema, la soluzione è più semplice di quanto possiamo immaginare. Di varietà il nostro mondo è pieno e noi non dobbiamo fare altro che rendere varia la nostra dieta. Non mangiare sempre le stesse cose e soprattutto mangiare meno carne e meno pesce.

Nel libro “In difesa del cibo” Michael Pollan inizia con queste parole:

Mangiare cibo. Non troppo. Soprattutto piante.

Eat food. Not too much. Mostly plants.



Da oggi si cambia vita!




Ovviamente non è successo tutto oggi, sono anzi 2 anni buoni che dentro di me maturava qualcosa.
E' emersa la necessità di cambiare me stessa per fare qualcosa per salvare il mondo dal declino, ovviamnete fare quel che posso!
Ho smesso di lavorare nei ristoranti proprio per questo motivo, carne e pesce, primo secondo contorno e dolce, quello che avanza lo butti nella spazzatura e infine?
Mangiamo troppo - caghiamo troppo e non pensiamo alle conseguenze delle nostre scelte.
Da quando ho fatto la famosa dieta di riso integrale, ho cambiato molto nella mia dieta. Adesso ricca di cereali integrali, verdure e lugumi, poco latte e qualche uova, un pò di formaggio ogni tanto e poi, magari una o -tiè!- due volte al mese, un pò di pollo dall'azienda bio più vicina e del pesce: uno sgombro, qualche sarda o un tancio di palamita!
Certo nn ho perso kg perchè conservo il mio stile dal gomito alto, ma sto bene, i valori delle analisi sono buoni, e se necessito di qualcosa cerco di assumerlo con metodi alternativi , come per l'omega 3.
Del resto cosa ci fa tutto questo cibo che ingeriamo? Non di certo vivere troppo a lungo?!
E allora come conforme alla mia natura modificata, inizio a modificare anche il blog, visto le tematiche importantissime sull'ecologia, ecosostenibilità e nutrimento vediamo di farne un bel pasticcio, così come esperimento!

06 maggio 2010

cosa non dicono i media sull'esplosione della piattaforma petrolifera in Luisiana

Da tempo mi sento poco motivata a scrivere monotemticamente su questo blog, ho quindi deciso di trasmettere anche altri messaggi, anche se non credo di avere alcun seguace lettore. Le tematiche che più mi stanno a cuore verranno quindi incluse in questo diario, visto che penso che il nostro cibo sia il nostro mondo e viceversa.

Allego quindi un estratto del sito

http://www.greenpeace.org

Sei domande e risposte sulla marea nera

Decenni di maree nere non ci hanno insegnato niente. Dopo tante promesse di "rivoluzione verde" e Green Economy, agli inizi di aprile 2010, Barak Obama ha ridato il via alle esplorazioni petrolifere offshore negli USA, dopo una lunga moratoria.

Un pedaggio pagato alle lobby petrolifere per far passare un "Climate Bill"(la legislazione per la riduzione delle emissioni di gas serra) che riduce le emissioni degli USA solo del 4% rispetto al 1990 (anno di riferimento del Protocollo di Kyoto). Obama è stato subito ripagato da BP, proprietaria della Deepwater Horizon, con una marea nera che lascerà il segno.

Le nostre sei domande, con le loro risposte, ci fanno capire perché questo era un disastro annunciato:

Falso! La moratoria alle estrazioni petrolifere offshore negli USA non è cominciata per caso. Nel 1969 esplodeva infatti la piattaforma Santa Barbara (California): in dieci giorni, furono rilasciate in mare 12-13.000 tonnellate di petrolio. Almeno 10.000 uccelli furono uccisi. Dieci anni dopo era la volta della Ixtoc 1, della compagnia di Stato messicana PeMex: 450-480.000 tonnellate di petrolio furono rilasciate in mare nell'arco di oltre 9 mesi, nel Golfo del Messico. E' il maggior rilascio di petrolio in mare mai registrato, con danni anche negli USA che la PeMex non volle mai pagare. Migliaia di tartarughe marine furono sgomberate con gli aerei dalle spiagge messicane, pesantemente contaminate. Altri pesanti rilasci di petrolio furono causati dalle 30 piattaforme danneggiate o affondate dall'uragano Katrina, nel 2005: proprio in Louisiana.

Falso! La piattaforma Depwater Horizon non è della BP, che l'ha affittata dalla Transocean, alla modica cifra di 500,000 US$ al giorno. Con quella stessa cifra, la BP avrebbe potuto acquistare, e utilizzare, un sistema di bloccaggio del pozzo "a distanza" (azionabile con un sistema acustico, dalla superficie). Perché questo utile congegno, obbligatorio in Norvegia e in Brasile, non è stato utilizzato in una piattaforma assolutamente all'avanguardia (come sostiene la stessa BP)? L'uso di questo congegno è stato a lungo dibattuto negli USA, almeno dal 2000. Ma, dopo forti pressioni della lobby petrolifera, nel 2003 lo US Mineral Management Service concludeva che "questi sistemi non sono raccomandati perché tendono a essere troppo costosi". Certo, mezzo milione di dollari sono una bella cifra: ma sono appena il costo dell'affitto giornaliero di una piattaforma. E nel primo quadrimestre 2010 la stessa BP, che ha fatto profitti per quasi 6 miliardi di dollari, per attività di lobby al Congresso USA ha speso non meno di 3,5 milioni di dollari.

Falso! Non sappiamo ancora quanto petrolio stia rilasciando in mare la Deepwater Horizon. Sappiamo che BP ha mentito quando ha dichiarato una stima di circa 1.000 barili al giorno (c.a. 135 tonnellare). Già dopo i primi sopralluoghi la NOAA (National Oceanographic and Atmospheric Administration) ha portato la stima a 5.000 barili/giorno (c.a. 675 tonnellate) e i media riferiscono di stime assai maggiori: il 2 maggio il Wall Street Journal parlava di 25.000 barili al giorno (ovvero 3.375 tonnellate!) e la stessa BP ha dichiarato per la Deepwater Horizon una produzione potenziale di 150.000 barili al giorno (20.250 tonnellate). Queste cifre devono essere moltiplicate per la durata dello sversamento. Dopo il fallito tentativo di chiudere le valvole della testa di pozzo con un robot filoguidato (ROV, remote operated vehicle) adesso BP cerca di intrappolare la perdita sotto una cupola di cemento. In ogni caso ci vorrà tempo, bisognerà tagliare la condotta (che sta perdendo petrolio in almeno tre punti) e le perdite di petrolio, che fuoriesce anche da fessurazioni nel fondo marino, saranno bloccate solo scavando un altro pozzo (a mezzo miglio di distanza) per "togliere pressione" al pozzo in perdita. Ci vorranno mesi: Ixtoc 1 è esploso nel giugno 1979 ed è stato chiuso solo nel marzo 1980.

Falso! Sui media si legge che BP avrebbe già dichiarato che si assume tutte le responsabilità e che pagherà tutti i danni. Non è vero: BP ha dichiarato che pagherà tutte le perdite economiche accertate e quantificabili. Probabilmente non è poca cosa: già i pescatori (soprattutto ostriche e gamberi) si stanno attrezzando per organizzare una "class action" (azione legale collettiva) per chiedere a BP almeno 5 miliardi di dollari. Altri danni economici potrebbero essere richiesti dal settore turistico: già solo la pesca sportiva in mare, da quelle parti è un bussiness da oltre 700.000 di dollari l'anno (oltre 7.700 posti di lavoro). Tuttavia, i precedenti ci dicono che difficilmente BP pagherà i danni ambientali che sta causando. Dopo il disastro della Exxon Valdes (Prince William Sound, Alaska 1989) la Exxon Mobil era stata inizialmente condannata a pagare 287 milioni di dollari di danni e 5 miliardi di dollari come ammenda (anche per risarcire i danni ambientali). Dopo anni di appelli e perizie in tribunale, il 25 giugno 2008, la Corte d'Appello ha deciso che Exxon doveva pagare solo 507,5 milioni di dollari di danni. In altre parole, le compagnie petrolifere (e le loro assicurazioni) difficilmente pagano per tutti i danni ambientali collegati alle "maree nere", danni che, d'altra parte, sono spesso difficili da quantificare.

Falso! Gli effetti di disastri petroliferi come questo sono difficili sia da valutare che da monitorare. In particolare, gli effetti sull'ecosistema pelagico sono particolarmente complessi. Le sostanze tossiche rilasciate dalle migliaia di tonnellate di petrolio potrebbero avere effetti notevoli sia sulle comunità del plancton (organismi che vivono nella colonna d'acqua) che su altre specie. A ciò bisogna aggiungere gli effetti tossici dei disperdenti (ne sono stati usati almeno 400.000 litri) tra cui è confermato l'uso del Corexit (2- butossietanolo), vietato in California perché causa infertilità e malformazioni (o morte) dei feti. L'uso di disperdenti può ridurre l'impatto sugli uccelli (che vengono "soffocati" dal catrame) ma aumenta quello sulla fauna e flora marina. Spesso è una decisione che si prende per motivi di "pubbliche relazioni" (gli uccelli incatramati fanno sensazione) che è come nascondere l'immondizia sotto il tappeto visto che l'effetto sui pesci è poco visibile. Ad esempio, da metà aprile a metà giugno nell'area è in corso la riproduzione del tonno rosso, una specie già decimata dalla pesca eccessiva di cui è stato anche proposto (col sostegno degli USA…) il bando del commercio internazionale. Nella stessa area sono presenti tartarughe marine e cetacei (come le focene, varie specie di delfini, balenottere, capodoglio e capodoglio pigmeo o cogia). Lungo la fascia costiera del Golfo del Messico, negli USA ci sono oltre 2 milioni di ettari di zone umide, con oltre 400 specie a rischio. Il Governatore della Louisiana ha dichiarato che la marea nera minaccia almeno 14 Aree Protette. Tra le specie in pericolo ci sono varie specie di rettili (tartarughe e alligatori), lontre, pellicano bruno (il simbolo della Louisiana) e decine di specie di uccelli migratori, canori e limicoli. E' difficile stimare in quanto tempo gli ecosistemi si riprenderanno: tra l'altro, l'evento è purtroppo in corso e non abbiamo una stima precisa né dell'area colpita né dei quantitativi di petrolio sversato. Tuttavia, il caso della Exxon Valdez ci ricorda che dopo oltre vent'anni gli effetti sono ancora evidenti e le sostanze tossiche rilasciate con le 37.000 tonnellate di petrolio allora sversate sono ancora in circolazione. Se la Deepwater Horizon sta davvero rilasciando oltre 3.000 tonnellate di petrolio al giorno, già adesso (6 maggio) lo sversamento potrebbe essere di circa 48.000 tonnellate. Particolare importanza ha anche il periodo della stagione in cui avviene lo sversamento: quello della Exxon Valdez avvenne durante la stagione di riproduzione delle aringhe del Pacifico e lo stock non si è ancora ripreso.

Falso! L'idea che incidenti come questo siano causati dall'incuria e dalla cupidigia delle lobby petrolifere non è errata, ma affronta solo parte della realtà. Questi incidenti, che sono più frequenti di quanto non riferiscono i media (lo scorso gennaio, a Port Hartur (USA) c'è stato un "major oilspill" di cui non abbiamo mai sentito parlare…) dipendono da "fattori" come uragani, errore umano, malfunzionamento delle tecnologie e altri imprevisti. Ce ne saranno sempre. Le statistiche poi ci dicono che, per quanto appariscenti, le maree nere sono un contributo minoritario all'inquinamento da petrolio in mare: i lavaggi delle cisterne e le fonti terrestri sono un problema ben maggiore anche se "localmente" meno acuto. Per eliminare questi pericoli, e per combattere il cambiamento climatico e l'acidificazione degli oceani (entrambi conseguenza dell'aumento atmosferico della CO2 causato dai combustibili fossili), l'unica soluzione è smettere di cercare, trasportare e usare questi prodotti. Settori sempre più ampi dell'industria si sono ormai appropriati degli scenari della "Rivoluzione Energetica", descrivendo percorsi realistici che in un futuro prossimo ci permetteranno di lasciar perdere lo sporco petrolio (e fonti non meno pericolose come carbone e nucleare) passando alle energie rinnovabili (solare ed eolico) e all'efficienza energetica. Yes, We can.